Riassunto ( Scarica il PDF )
Da queste riflessioni emerge il mio modo di concepire la Fisica perché pongo in luce come essa non descriva il mondo ma l’immagine che abbiamo di esso nel cervello. Ritengo che, voler capire la Fisica senza capire il cervello, che è anch’esso un apparto fisico sia, a mio avviso, un’insensatezza. Parlerò di questo anche se a margine esporrò anche qualche mio dubbio inerente alla Fisica e qualche errore che ho rilevato nella didattica.
Inizio dal primo principio della dinamica, che vuole la variazione dal moto rettilineo e dallo stato di quiete dovuti ad una forza. Rilevo che ogni dimostrazione sperimentale data di tale principio sia sbagliata e mostro come questo principio rifletta la struttura neurofisiologica del sistema visivo dell’uomo e degli animali superiori. Estendendo il ragionamento appare che il nostro cervello ha in sé gli apparati neurofisiologici che riflettono il modello meccanicistico di Democrito di Abdera.
Cervello e organi di senso, fra i quali ritengo inopportuna una distinzione sostanziale, si sono formati attraverso l’evoluzione e concorrono alla sopravvivenza dell’individuo, con la realizzazione della previsione degli eventi a lui favorevoli o nocivi, nel suo ambiente. La previsione può anche essere riguardata come il “rapporto causa-effetto”. David Hume ha chiarito che la natura di tale rapporto è l’abitudine ed ha anche parlato di somiglianza come modo di riconoscere le cause. Io ritengo di dover approfondire quest’ultimo aspetto, alla luce della teoria evoluzionistica di Darwin e Wallace.
Non vedo nell’evoluzione, con il suo portato di stragi e di enormi sofferenze alcuna tensione verso la conoscenza dell’essere e della sua essenza, ma crudeli tentativi atti a realizzare un organo che permetta il riconoscimento di quelle cause, il cui sviluppo condurrà al soddisfacimento dei bisogni primari dell’essere vivente. Ciò mi permette di inferire che la causa può essere riconosciuta solo in uno specifico ambiente, quello in cui l’essere vivente si è sviluppato e relativamente ai suoi bisogni primari, il cui soddisfacimento va visto come effetto. L’effetto é importate, è il fine dell’attività cerebrale e forma, unitamente all’ambiente, il cervello onde possa riconoscere la causa. Io concepisco un mondo intorno a me pressapoco come lo concepivano Hume e Democrito, quanto vediamo e percepiamo non è il mondo, è una sorta di rappresentazione di parziale esso, il più sfugge alle nostre percezioni e risulta inintelligibile. Le case, gli alberi i ruscelli, non esistono fuori di noi: sono configurazioni sostanzialmente riconducibili al modello meccanicistico di Democrito, che ha in se un eccellente potere predittivo. Cambiando i fini e l’uomo è capace di allontanarsi dalla semplice ricerca della soddisfazione degli istinti, o cambiando l’ambiente, il cervello potrebbe non essere più capace di attività predittiva, perché potrebbe non avere organi di senso adatti a cogliere le cause in questo nuovo ambiente e nel cervello potrebbe non esserci il modello predittivo adatto a quell’ambiente. E’ ragionevole osservare gli atomi della fisica moderna con i fotoni? Gli atomi fanno ombre? Li riflettono? E’ ragionevole pensare alle particelle elementari come agli atomi di Democrito, sassolini dotati di durezza, che si muovono di moto rettilineo? Rilevi questo moto osservando le particelle con i fotoni?
I movimenti sono di indici di chissà quali trasformazioni nel nostro ambiente, quelli rettilinei sono indici delle trasformazioni più usuali, tanto usuali che il sistema visivo si è dato apparati fisiologici per rilevarli ed esse hanno esiti prevedibili. Lo spazio euclideo stesso è un’astrazione che noi compiamo sul campo visivo, quello in cui stanno le immagini delle case e degli alberi. Non ha senso pensare ad una sua realtà fisica, è un modello valido a spiegare il nostro ambiente. Einstein ha mostrato che alle alte velocità, alle quali l’evoluzione non ci ha abituati, lo spazio euclideo non costituisce la base di un buon modello predittivo. Con questo non dico che la realtà fisica stia nello spazio di Riemann, anch’esso è una rappresentazione. Inoltre lo spazio inteso come campo visivo non contempla ne lo zero ne l’infinito. Ogni estrapolazione dello spazio verso questi enti, porta solo a degli assurdi tipo il paradosso di Zenone, nel caso dello zero, o alle idee di Cantor, già intuite da Galileo, sul tutto e sulla parte nel, caso dell’infinito.
Alla pretesa della Fisica di comprendere l’universo mondo, l’essere, il tutto che dir si voglia non si può rimediare progettando sensori artificiali o un nuovo cervello: non si saprebbe che cosa cercare, ci vorrebbe un’altra evoluzione che, per tentativi, adattasse sensi e cervello al nuovo ambiente sconosciuto e per i nuovi fini. Di conseguenza ritengo impossibile scrivere una teoria organica della Fisica del mondo atomico e subatomico, mentre ritengo possibile costruire un cervello artificiale, beninteso che abbia i limiti gnoseologici del nostro cervello. Infatti nel cervello umano non vi sono aspetti quantistici: ogni organo, ogni corrente, ogni fluido al suo interno comporta il coinvolgimento milioni di atomi per cui può ad esso essere applicato il modello meccanicistico, che ha dato eccellenti risultati nella Fisica classica.
Queste conferenze sono state per me un momento di riposo entro un periodo in cui sto tentando la meccanizzazione del linguaggio naturale. Tentare di capire il funzionamento del cervello e di costruirne uno artificiale è stato ed è lo scopo della mia vita. Sono consapevole che questa è un’opera nella quale riuscirà solo un genio, ma la mia non è immodestia: amare uno sport e praticarlo non significa pretendere di essere un campione.