Conclusioni (scarica il PDF)
Avevo diciotto anni e in me si stava formando la consapevolezza di quanto fosse insensato studiare il mondo fisico senza studiare il cervello, che è la macchina con cui si capisce il modo fisico. In seguito approfondendo la fisica non vidi altro, dopo la scoperta delle caratteristiche ondulatorie della materia, che una gran mole di risultati sperimentali dovuti a macchinari sempre più potenti ma nessun progresso teorico in grado di collegarli organicamente. Scorgevo unicamente spezzoni di teorie, a volte dotate di settoriale potere predittivo, che però presto venivano presto superate da nuovi risultati sperimentali. In particolare consideravo poi la fisica delle particelle una sorta di erbario dei bambini e la stessa interpretazione probabilistica della meccanica quantistica un escamotage che nulla aggiungeva a quanto si sapeva. La matematica cominciò ad irritarmi per il suo uso nella fisica che paragonavo alla mera retorica, che nascondeva il nulla e costituiva gran parte delle pubblicazioni scientifiche. Possibile, mi dicevo, che quando prima degli anni Venti gli studiosi di fisica erano pochissimi la fisica avesse progredito tantissimo, poi con tante risorse umane e materiali a disposizione i progressi si fossero arrestati? Mi convinsi sempre di più che la spiegazione di questo ristagno andasse cercata nei limiti del cervello umano.
Così ho cominciato a riflettere sul mio operare cerebrale, a studiare neurofisiologia, psicofisica e ho imparato a usare il computer per provare le mie teorie, orientate dalla prospettiva evoluzionistica e della vita e dal pensiero di due giganti: Democrito di Abdera e David Hume. Espliciterò alcuni tratti del loro pensiero che hanno connessioni con il mio lavoro. Chiedo venia per eventuali errori, non sono un professore di filosofia.
Democrito nacque circa nel 460 a.C. e morì circa 100 anni dopo. Di lui sappiamo poco, meno ancora di Leucippo, che forse fu suo maestro e che avrebbe dato molte idee al Nostro. Secondo Democrito la materia è costituita da atomi, cioè particelle indivisibili, diverse una dall’altra nella forma e dotate di alcune proprietà, fra cui la durezza. La loro varia aggregazione costituisce tutta la varietà materiale dell’universo. Gli atomi si muovono in linea retta nel vuoto. Essi non sono percepibili, si giunge a loro soltanto attraverso la ragione. Quello che noi vediamo è una sorta di configurazione. Per Democrito, il vuoto non è il nulla. Affinché si formi questa consapevolezza fra i dotti bisognerà aspettare Cartesio e soprattutto Evangelista Torricelli, circa duemila anni dopo. Tale visione del mondo fu la base della fisica, da Galileo agli anni Venti del Novecento. Poco importa se gli atomi furono studiati nella fisica solo nel Novecento e poco prima, come un’ipotesi nella chimica: il modello del mondo dei fisici fu quello, i corpi si comportavano come gli atomi di Democrito, più precisamente come a loro aggregati. Tuttavia l’atomo di Democrito non ha nulla da spartire con quello ipotizzato dalla fisica novecentesca, neanche con quello più arcaico, che assomiglia a un sistema solare: l’atomo di Democrito va pensato come un sassolino, duro. Inutile dire che esso è l’elemento piccolo a piacere dell’analisi matematica, quindi Democrito oltre che padre della fisica, è anche antesignano di questa disciplina. Egli con il suo pensiero andava contro le idee che avrebbero poi trionfato nella geometria di Euclide, punti senza dimensioni, piani senza spessore,… Di Democrito si sa comunque poco. I suoi scritti sono stati smarriti o bruciati dai seguaci di Platone, dai cristiani,… dagli uomini severi, consapevoli della loro superiorità, del ruolo che hanno nel mondo, del trionfale destino che avranno la morte, ecc… Concordo con Erwin Scrödinger che diceva amaramente: “non bisogna fidarsi di un’umanità che perde le opere di Democrito e conserva quelle di Platone”. Sorrido pensando che se un tal grande, uno dei massimi geni che abbia calpestato questa Terra, ha avuto questa considerazione, chissà quale sarà il successo delle mie modeste riflessioni.
David Hume nacque in Scozia nel 1711, oltre duemila anni dopo Democrito. Egli non riteneva che nel mondo fuori dalla nostra scatola cranica ci fossero le persone, i ruscelli, i monti. Sosteneva che il mondo esterno al nostro cervello inconoscibile. In effetti una persona è indotta a pensare che esiste un fiore, con i suoi petali e i suoi colori, confondendo la percezione visiva, ovvero la forma del fiore con la realtà. Se l’uomo non avesse la vista ma solo l’olfatto egli sarebbe indotto a pensare al fiore come al suo profumo e al mondo non come a un modo di odori e non di forme. Il fiore non è la forma del fiore e nemmeno il suo profumo, chissà che cos’è. Dalle percezioni provengono le nostre idee e Hume definisce più modi per associarle: il rapporto causa effetto è il più importante e questa associazione è il risultato di un’abitudine. Noi sentiamo alcuni gatti miagolare e associamo il gatto al miagolio: non c’è ragione perché il gatto non abbai o non cinguetti. Allo stesso modo vediamo ripetute volte il Sole sorgere a est e lì aspettiamo che sorga, generiamo nella nostra mente il rapporto causa effetto. Legge fisica? No, abitudine da cui si ricava la legge fisica, sperando che duri. Domani o il Sole potrebbe sorgere ad ovest o il gatto potrebbe mettersi ad abbaiare.
La concezione di Democrito e quella di Hume sono diversissime: alla base del pensiero di Democrito vi sono atomi e vuoto che si urtano e vorticano in modo prevedibile e ogni stato dell’universo è conseguenza del precedente, Per Hume la realtà fisica è inconoscibile e previsioni gettano per abitudine. Lo sviluppo dell’universo secondo Democrito è deterministico. Hume non si pone questo problema perché esclude che la realtà possa conoscersi compiutamente, di conseguenza tutto il suo sviluppo è dubbio e malsicuro. Aderisco a questa seconda visione del mondo, anche se una teoria scientifica ha un valore crescente quanto più riesce a fornire risultati precisi nelle sue previsioni. Hume stesso disse: domani i gatti potrebbero mettersi ad abbaiare, non lo so, ma io mi comporto come se domani continuassero a miagolare. Il modello meccanicistico dell’universo ha un potere predittivo potentissimo e questo fece sì che, come molte persone confondono la forma del fiore con il fiore, molti fisici confondessero il modello meccanicistico del mondo di Democrito con il mondo.
Ancora parlando di gatti: due gatti uguali al mondo non vi sono, basta pensare alle varie razze. Tuttavia un bambino di due anni vedendo un gatto e una capretta riconosce il gatto e si aspetta che il primo miagoli. Hume direbbe: il bambino associa le idee per somiglianza. Ottima osservazione ma va approfondita. Il riconoscimento delle forme ma anche dei suoni, che riesce a un bambino piccolo è uno dei problemi più difficili e irrisolti della teoria dell’intelligenza artificiale, va sotto il nome di pattern recognition ed è stato lo studio della mia vita. Tuttavia non serve risolvere questo problema per capire la relazione fra mondo e cervello, bisogna riflettere sulla evoluzione della specie. Consideriamo un brodo primordiale, uniforme e nutriente in cui un protozoo cresca e si moltiplichi. Per quanto vita e intelligenza siano termini maldefiniti, non vedo intelligenza in questo comportamento dei protozoo, vita sì. Se dopo un certo tempo nel brodo compare una molecola venefica, la maggior parte dei protozoi morirà perché assorbiranno la molecola. Solo alcuni di loro, fortunati, a causa di una fortunata mutazione genetica riusciranno tener fuori la molecola e a sopravvivere. Si può dire che questi ultimi riconoscono la molecola, la tengono fuori dal nucleo, realizzano la previsione, concretizzano il rapporto causa effetto e si può dire che abbiano la membrana dotata di intelligenza. La membrana è l’abbozzo di quello che sarà il sistema chemiosensorio, ad esso si arriva per ulteriori stragi, massacri e mutazioni, non certo attraverso l’analisi chimica del brodo e lavori di ingegneria genetica per formare tale apparato. La genesi dell’apparato cerebrale, della capacità di previsione, di quello che con frase imprecisa permette il comportamento intelligente, va cercata nella sola fortuna. Non è possibile progettare sensi e cervello se non si sa neanche con che cosa debbano interagire.
Le molecole non sono l’unico collegamento fra mondo e cervello: penso ai fotoni, alle vibrazioni, ai contatti fisici. Mi limiterò a ragionare sui primi, che riguardano il senso della vista. Inizialmente l’apparato visivo era costituito da cellule fotosensibili sparse sul corpo dell’essere primitivo, poi esse si concentrano in zone, ecc… E’ un apparato che opera un riconoscimento cinematico, in quanto avverte degli effetti dei corpi in moto relativo rispetto al vivente. Ciò permette di evitare urti, capire l’avvicinarsi di un predatore… L’apparato chemiosensorio, che riconosce le molecole, realizza invece un riconoscimento sostanzialmente statico. Nell’uomo e negli animali superiori vi sono due apparati visivi: uno più arcaico nel mesencefalo e uno più moderno nella corteccia visiva. La visione mesencefalica ha sempre meno peso man mano si sale nella scala evolutiva. Sia le cellule responsabili della visione mesencefalica sia quelle della corteccia visiva sono in corrispondenza con quelle della retina e rispondono, non solo all’eccitazione delle cellule retiniche, ma anche alla direzione dei movimenti. Nella corteccia visiva queste ultime sono le cellule complesse, scoperte da Hubel e Wiesel, i cui studi sono state una confortante conferma alle mie intuizioni. Sia nel mesencefalo che nella corteccia visiva appaiono aree eccitate, interpretabili come vuoto e vaste aree non eccitate, immobili, interpretabili come corpi opachi. Nelle aree eccitate, appaiono piccole aree non eccitate, interpretabili come piccoli corpi, aggregazioni di atomi, che si muovono tendenzialmente secondo una direzione. E’ il modello di Democrito. Sempre nel sistema visivo vi sono cellule dette fasiche che rispondono al passaggio di un corpo dalla quiete al moto. Tutto questo ha senso nella previsione degli effetti del movimento: è importante sapere che una pietra si mette in moto ma è importante sapere la sua direzione, eventualmente per scansarsi. Il primo principio della dinamica recita: un corpo in quiete rimane in quiete e un corpo in moto persevera nel suo stato di moto rettilineo e uniforme se non vi sono forze che alterino questi stati. Le cellule fasiche rilevano il passaggio dalla quiete al moto, le cellule complesse corticale e le cellule direzionali del mesencefalo, rilevano il cambiamento di direzione. Il primo principio della dinamica è il riflesso del funzionamento del sistema visivo, che è predittivo in se, migliorabile se vi si getta sopra la matematica, ma un giocatore di bigliardo può essere un campione senza aver studiato la meccanica razionale. Il primo principio della dinamica è indimostrato, Einstein fu ossessionato da esso e pensò di aver trovato il sistema inerziale, ovvero il posto dove vale questo primo principio, nell’ascensore in caduta libera. In realtà non è verissimo in esso il campo gravitazionale non è uniforme, in esso un corpo in moto non procede in linea retta, inoltre egli identifica campo gravitazionale e campo di forze dovute all’accelerazione: non è esattamente così, quest’ultimo campo invece è uniforme. Di questo potrò parlare in dettaglio altrove, qui esplicito che, di fronte al primo principio, io mi pongo in un’altra ottica: penso che esso sia il riflesso di un modello predittivo approssimato, valido nell’ambiente in cui ci siamo evoluti, relativo ai nostri bisogni e limitato dal collegamento fra il mondo e il cervello dovuto ai fotoni. Trovo insensato attribuire natura ontologica a questo modello e cercare di provarne la sua esistenza nel mondo. Come non credo che fuori della nostra testa ci siano i fiori, i ruscelli, i monti come li vediamo non credo ci siano neanche i moti: essi sono indici di chissà quali trasformazioni nel mondo. Siccome molte di esse appaiono come rettilinee, si può dire che sono le più usuali. Finora ho parlato del sistema chemiosensorio come il responsabile del riconoscimento statico e di quello visivo come il responsabile del riconoscimento cinematico.
Tuttavia nella corteccia visiva, sempre secondo la classificazione di Hubel e Wiesel, si trovano anche le cellule semplici, un risultato più recente dell’evoluzione, che non rispondono ai movimenti ma solo agli angoli. Ritengo queste celle responsabili del riconoscimento visivo statico, che è il concorrente di quello chemiosensorio, ma basato sui fotoni e non sulle molecole. (Per la verità un riconoscimento molto rigido è anche opera delle cellule ipercomplesse, ma è una strada che l’evoluzione ha abbandonato).
Per l’uomo il sistema visivo è il modo principale per riconoscere gli oggetti, invece gli animali, anche quelli superiori, che hanno la corteccia cerebrale simile alla nostra, si fidano di più dell’olfatto. Vorrei rimarcare che il riconoscimento va collegato alla relazione causa effetto e quindi nel caso del sistema visivo occorre che due oggetti che appaiano simili portino allo stesso effetto. Questa capacità del sistema visivo è stata realizzata dall’evoluzione, come avvenne per il sistema chemiosensorio ma essa non è affatto scevra di errori: è vero che un bambino riconosce due gatti di razza diversa ma è anche vero che due funghi simili possono essere uno mangereccio e uno velenoso. La corteccia visiva degli animali superiori è estremamente simile a quelle umana ma, mentre gli animali superiori migliorano il potere predittivo della percezione visiva aiutandosi con l’olfatto e il gusto, si pensi a un gatto che prima guarda il cibo, poi lo annusa e poi lo assaggia, l’uomo scompone l’oggetto in tanti particolari, li collega in una rete geometrica e attribuisce ad ogni particolare un peso nel riconoscimento dell’oggetto. Per esempio si può attribuire gran peso a un piccolo particolare del fungo in parola permettendo così di capire la sua commestibilità. Metodo certo potente che apre le porte al linguaggio articolato, proprio della sola specie umana ma i limiti gnoseologici restano identici perché ogni particolare dell’oggetto è analizzato per somiglianza, come l’oggetto completo: il tutto è sempre subordinato a evoluzione, ambiente e fotoni, oltre che alle esigenze primarie del vivente. Ognuno di noi riterrebbe stupido studiare la fisica atomica e subatomica con il sistema chemiosensorio, ovvero con le molecole. Una rappresentazione di quel mondo in termini di odori, non potrebbe essere esaustiva e predittiva. Detto questo non si capisce perché si voglia studiare questo mondo con con delle leggi fisiche che sono abitudini insite nel modello meccanicistico di Democrito che deriva dai fotoni, dal macrocosmo. Che il modello meccanicistico non funzioni nel microcosmo c’è consapevolezza fra i fisici, tuttavia i più credono che molte leggi della fisica classica possano essere estese al microcosmo, pur con qualche modifica. Manca la cognizione che non sia possibile la conoscenza di questo ambiente senza una nuova evoluzione, con stragi e massacri connessi, che colga un mezzo per collegare cervello e ambiente, come lo sono molecole e fotoni nel macrocosmo, che formi sensi e cervello atti a ottenere delle previsioni per gli specifici fini dell’essere vivente. In conclusione non si rendono conto che la conoscenza di questo mondo ci è sostanzialmente preclusa. Quanto ho detto per l’estremamente piccolo vale per l’estremamente veloce: piccolo e veloce sono due indici che avvertono che stiamo cambiando ambiente.
Che il cervello non sia in grado di capire l’ambiente atomico e subatomico non significa che non si riesca a capire il cervello: esso è un apparato del macrocosmo, le correnti, i fluidi molecolari che corrono in esso sono formati da milioni di atomi, non c’è alcun aspetto quantistico in esso. Dunque il suo studio è nel campo della fisica classica, quella che ha sempre dato ottimi risultati e sarà possibile costruirne uno artificiale. Ovviamente esso avrà gli stessi limiti gnoseologici del cervello umano. E’ stato lo studio di tutta la mia vita.
Vorrei spendere su concetti che sono fondamentali nella fisica.
Secondo me lo spazio è null’altro che un’astrazione sulla rappresentazione del campo visivo. Campo visivo, ovvero la zona eccitata in cui corrono macchioline non eccitate: vuoto e atomi. Ha senso chiedersi se questa rappresentazione abbia realtà fisica? No, è lo stesso errore che compie chi confonde il fiore, esterno al nostro cervello e inconoscibile con la sua forma. Ha senso tormentarsi sull’infinito? Pensare che lo spazio debba essere incluso in altro spazio? No. E’ un’estrapolazione insensata chissà il mondo fuori com’è. Non ha neanche senso pensare a un punto senza dimensione: anche questa è un'estrapolazione che porta solo ad assurdità. Già Leucippo avvertiva che senza l’ipotesi atomica sarebbe sensato il paradosso di Achille e della tartaruga.
Il tempo è un concetto meno immediato dello spazio, è una costruzione che deriva certo dal movimento. Gli uomini hanno sempre misurato i tempi con i moti periodici: la guerra è durata 15 lune, Tizio ha visto 75 primavere ecc… Il suo uso è utile nella descrizione del riconoscimento cinematico, per capire, ad esempio, se un effetto precederà un altro. Tuttavia i moti periodici si definiscono come quei moti che, dopo intervalli di tempo sempre uguali, riprendono le caratteristiche iniziali. Ad esempio, un periodo lunare è il tempo che intercorre fra due Lune piene. Forse prima di dare questa definizione sarebbe utile chiedersi: come faccio a sapere se gli intervalli di tempo sono sempre uguali se non so misurare i tempi? Tuttavia questo è un discorso che va fatto altrove.
Circa la massa, il chiedersi che cosa sia la massa è chiedersi cosa sia un fiore, noi percepiamo, la sua forma, il suo profumo, la sua morbidezza,… tutto si collega nell’idea di Hume dell’oggetto come fascio di percezioni. L’oggetto fino ad un certo punto può essere pensato come un aggregato di atomi nel senso che gli da Democrito. Essi hanno durezza, estensione, volume, inerzia… alcune di queste caratteristiche sono misurabili e vengono usate per definire operativamente la massa. Naturalmente il modello di Democrito vale nel macrocosmo. Sulla massa non sarà mai possibile avere le idee chiare: è una porzione del mondo esterno che è inconoscibile.
Circa la sensazione visiva. La visone mesencefalica viene detta visione cieca perché persone deprivate della corteccia visiva, quindi non vedenti, poste di fronte ad una lampada in una stanza buia sanno dire se essa sia accesa e indicare dove sia. Essi tuttavia asseriscono di non vedere la lampada. Allo stesso modo se sul cammino di queste persone di pongono scatole, esse sono in grado di evitarle, per asserendo di non vederle. Queste persone sono impacciate nei movimenti e fanno molti errori ma statisticamente è inequivocabile che localizzano luci e oggetti, pur senza vederli. Se io costruissi una macchina che si destreggiasse nel mondo come un uomo, che riconoscesse gli oggetti come un uomo, mi chiedo avrebbe la percezione visiva o la macchina sarebbe dotata di una visione cieca, come la visione mesencefalica umana?
Altrove ho descritto il sistema visivo umano e ho mostrato come si formino le immagini nel cervello, come da esso si generino le illusioni ottiche ma non capisco perché le persone abbiano coscienza di percepire le cose. E’ una qualità inutile del sistema visivo. Inoltre si ha coscienza soltanto dei moti e delle forme e solo a livello di visione corticale e non mesencefalica. Ancora non si ha coscienza di come operi il cervello per definire la somiglianza. Che cosa sia la coscienza è una domanda troppo grande per me. Tuttavia la coscienza è un’ipotesi inutile nella costruzione di un cervello che simuli il comportamento del cervello umano.